Viticultura supereroica
Valentina ci
aveva parlato di questa cantina e di una visita fantastica, coinvolgente, di
ottimi vini, salati all’inverosimile ma impossibili da abbandonare nel calice.
Approfittiamo del weekend lungo del 25 Aprile per fare un giro alle Cinque Terre,
prenotiamo un monolocale a Levanto, e fissiamo con SAMUELE - HEYDI BONANINI una
visita alla sua azienda. Gentilissimo e disponibile fin da subito, sarebbe
stato praticamente impossibile da localizzare, ma siamo d’accordo che arriveremo
in treno a Riomaggiore per le 9.30 circa e lui puntualissimo sarà li ad
aspettarci in cima al paese, davanti all’ufficio del turismo. Non c’è stato
neppure bisogno di richiamarsi e come per un sesto senso ci ha identificato
subito, e non eravamo soli davanti a quell’ufficio.
Incontro alla natura
Il percorso
in auto è breve e arriviamo su un tornante subito sopra al paese dove
apparentemente non c’è niente. Una catena che chiude l’accesso a pochi metri
quadri di parcheggio tra la macchia mediterranea, giusto un rifugio per
lasciare l’auto, attraversiamo il tornante verso al nulla dove una volta
raggiunto il lato opposto della strada si apre un panorama unico a strapiombo
sul mare, ricco di macchie gialle e viola dei tanti cespugli.
Iniziamo a
scendere a picco su alti scalini e si mostrano a noi i muretti a secco che
ospitano ciascuno un filare di vigna, ogni metro quadro ospita 2 piante circa
che si inerpicano tra loro a cercare la vita, il sole, la luce contro un
baratro alto e profondo che scende chissà come al mare. Capre e stambecchi
potrebbero lavorare la terra qui e oltre a loro solo Samuele che qui ci è nato
e ancora oggi vive e lavora quella terra dal colore scuro, fatta di pietrisco
di arenaria. Questa è la sua casa e si vede dal volto, dalla gioia che esprime
per ogni parola, per ogni racconto a cui non si sottrae, per il piacere di
rispondere a ogni domanda.
Triple “A”
Triple “A”
non per moda ma per natura, perché questa è la sua vita. Perché solo uno che
qui ci è cresciuto comprende cosa vuol dire lavorare quella terra sicuramente
ostile. Cosa significa scendere e salire quelle balze con pochi aiuti per
portare le pietre che servono a manutenere i muretti a secco che sostengono da
sempre queste povere coltivazioni. E allo stesso modo orgoglioso di far
crescere suo figlio negli stessi luoghi e con le stesse passioni, con la stessa
vitalità. Lotta ragionata, culture biologiche ma senza certificazioni troppi
registri inutili da gestire. Troppi costi che non aggiungono niente alla
qualità che insegue.
Per lui le
uve sono Bosco e Albarola. Il Vermentino non fa parte della sua natura, troppo
facile, troppo ruffiano, poco espressivo. Per lui il vino è Sciacchetrà, solo
quello vorrebbe produrre, ma poi uno deve pur vivere a dispetto delle mille complicazioni
della burocrazia e allora si produce anche Cinque Terre, il suo Cinqueterre
senza Vermentino e sperimenta e maledice i disciplinari vaghi, soggetti a
valutazioni soggettive quando si parla di profumo:
intenso, netto, fine, persistente; sapore: secco, gradevole, sapido,
caratteristico; con cui a volte si deve lottare perché i vini non vengano
esclusi dalla denominazione.
Lavorare la terra
Tutte le
operazioni in vigna sono biologiche, la terra viene ancora zappata a mano,
zolla dopo zolla. E come potrebbe essere altrimenti. Concimi naturali, rame e
zolfo per i trattamenti. Vendemmia in piccole cassette scolme per evitare che
gli acini si danneggino, sgranatura manuale dei grappoli con selezione
maniacale della qualità delle uve.
Il lavoro in cantina
E poi la
cantina…due cantine. Una all’inizio del paese per i vini secchi e una storica,
all’interno del paese, in una strada dove neppure una biciletta riuscirebbe a
passare, destinata allo Sciacchetrà.
Vinificazioni
spesso accompagnate da brevi macerazioni, 4/5 giorni, fermentazioni naturali,
affinamenti in legni particolari spesso usati per l’aceto non per il vino, di
ciliegio, castagno, pero, acacia e rovere e adesso anche in vari contenitori di
terracotta di diverse misure e materiali. Solo terracotta, niente smalti o
vetro, altrimenti sarebbe come farlo in inox.
La ricetta
dei bianchi è semplice, Bosco = Freschezza, mineralità e sapidità, Albarola per
la morbidezza. Fine.
Basse rese,
queste uve non sono Vermentino. Difficile trovare persone in gamba disposte a
sacrificarsi in vigna, quasi mai italiani. Qui tutto è essenziale, manuale,
faticoso e doloroso. Lavoro di altri tempi.
Negli anni
ha cambiato il modo di coltivare. All’inizio erano tutte vendemmie tardive per
cercare di ottenere zuccheri e morbidezza, oggi le vendemmi sono quelle
tradizionali e il vino che ne esce taglia la bocca, sapido e acuminato,
indifferentemente che sia bianco o rosso o che sia Sciacchetrà.
Sogni e realtà
Il suo sogno
è tornare a fare la vendemmia con le barche, come si vede in antichi filmati
dell’Istituto Luce che ci mostra orgoglio di aver recuperato presso gli archivi
della RAI a caro prezzo. A portare via i grappoli con le ceste di legno e non
di plastica come nella tradizione. Ma prima bisogna riuscire ad arrivare al
mare e ancora mancano delle terrazze per scendere. Mancano dei muretti, dei
filari. Ancora serve della lotta per
strappare terreno alla natura impervia di queste coste.
Il diserbo
in origine era fatto chimicamente dai vecchi, ma poi la consapevolezza della
morte dei terreni ha portato Samuele ad usare la zappa per girare le zolle e
con loro l’erba che ci cresce.
I racconti
percorrono la vita sua, della sua famiglia di origine, della sua famiglia
attuale. Del figlio a cui costruisce armi di legno per farlo divertire o lo
lascia libero di andare a cercare uova di tutti i colori dalle galline che
tiene in vigna. Uova blu, uova nere, uova maculate. Racconti della fatica dello
spostare pietre e zappare, del mantenere sano il binario dove scorre il
trenino, unico sussidi per i trattamenti e per spostare le cassette con l’uva
durante la vendemmia. Dei costi alti necessari per qualunque cosa serva giù per
queste balze.
I numeri
Due ettari e
mezzo su tre zona, divisi in micro appezzamenti dove al massimo corrono 2 o 3
filari.
Diecimila
bottiglie in tutto, di cui un migliaio tra Sciacchetrà e uno strabiliante
passito da uve rosse Cannaiolo e Bonamico. A breve arriverà un rosato su cui
sta facendo prove, nato per caso dopo una grandinata che aveva distrutto buona
parte del Cannaiolo prima dell’ultima vendemmi, con l’aggiunta del moscato nero
di cui ha giusto un paio di filari coltivati per il piacere del nonno che la
utilizzava come uva da tavola.
Sedici le
tipologie diverse di uva presenti su queste terrazze.
Il paesaggio
che fa da cornice ai racconti è un puzzle di piante aromatiche, di timo, di
rosmarino, di salvia, di fichi d’india, di capperi. Un solo ulivo, antico,
spicca tra le vigne. La pergola era la forma di allevamento di una volta ma
pian piano è stata sostituita dai filari, più facili da lavorare. Ma ancora una
resiste per volere di Samuele. Antica e simbolo della tradizione.
Storia e tradizioni
Lo sguardo
ci viene guidato verso ogni anfratto e ognuno contiene un rudere o una storia,
La vita intera del vignaiolo che ci guida, un vero vigneron ! Racconti di
appezzamenti da lavorare ma impossibili da acquistare perché di proprietà fino
a sessanta persone per mille metri. L’importanza del lavoro fatto dai vecchi
che qui riuscirono a portare l’acqua. Un sistema che ancora oggi viene usato
con irrigamenti di soccorso su un terreno che non trattiene neppure una goccia
di rugiada. L’irrigazione che serve per coltivare anche melanzane e zucchine o
pomodori che diversamente non crescerebbero mai su questi terreni.
Il frutto del lavoro
Sono volate
quasi due ore e mezzo in un soffio di vento, nel racconto del lavoro e della
sua vita. E’ l’ora di riprendere l’auto e andare in cantina a sentire i vini e
non vediamo l’ora di farlo.
I vini sono
tutti a temperatura ambiente, non serve il freddo per mascherare difetti che
non ci sono. Basta giusto l’accortezza di un’apertura anticipata per permette
alla volatile di andarsene naturalmente. Samuele ne è consapevole e non è
preoccupato di raccontarlo. Questi sono i suoi vini e un po di volatile fa
parte di loro. Basta solo lasciarli respirare e ricambieranno con profumi
suadenti di tutto quello che abbiamo visto in vigna. Per tanti aspetti mi
ricorda un vigneron francese conosciuto quest’estate, anche lui Triple “A”.
Forse non è casuale.
Si parte dal
tradizionale Cinque Terre, vendemmia
2015, 80% Bosco e 20% Albarola. Le pietre taglienti della vigna stanno nel
bicchiere a dispetto della temperatura e i cristalli di sale si attaccano in
bocca. Se esiste un concetto di terroir allora questo calice ne è la prova. Giallo
paglierino molto intenso, dorato e sfavillante. Ginestre e timo, maggiorana,
frutta gialla matura e tintura di iodio.
Si prosegue
con un rosso sorprendete, “U Neigru”,
Cannaiolo e Bonamico. Viola splendente, viole anche al naso, visciole. Fresco
come solo un bianco può esserlo e sapido, con un tannino setoso e gustoso. Un
vino decisamente espressivo con un sorso che non lascia scampo alla bottiglia.
Ecco il
primo Sciacchetrà, quello
tradizionale che usa il legno per l’affinamento. Appassimento fino alla metà di
Novembre in parte su graticci e in parte appesi. Sgranatura manuale degli acini
migliori, fermentazione spontanea e circa un mese di macerazione. Affinamento
in piccole botti di ciliegio, castagno, pero e acacia per circa 1 anno per
finire a decantare in inox fino alla giusta chiarifica. Un tripudio di aromi di
Fichi e fichi d’india, di albicocche essiccate, di datteri, di miele, di
cannella, noce moscata e maggiorana. Un sorso teso e fresco e allo stesso tempo
dolce e profondo, mai in affanno grazie alla freschezza immensa. Un piccolo
capolavoro di equilibrio ed eleganza.
Segue la versione in anfora, assolutamente
uguale salvo per l’affinamento che viene eseguito in una grande anfora di
terracotta. Sorprendentemente diverso, non tanto per gli aromi quanto per la
loro delicatezza, per l’eleganza di un sorso gentile, morbido, pulito,
cristallino. Se la finezza era quello che si cercava, l’anfora l’ha donata
senza compromessi.
Finiamo in
bellezza con un passito da uve rosse, “Rinascita”.
Cannaiolo e Bonamico che subiscono la stessa sorte e metodo di appassimento e
affinamento delle uve bianche dello Sciacchetrà. Uno Sciacchetrà rosso, in
tutto e per tutto. Complesso e affascinante dove il frutto è rosso e sotto
spirito, etereo, che si arricchisce di spezie dolci e di erbe aromatiche.
Grazie è niente !
La giornata
è volata via così piacevole che è difficile trovarne altre. La differenza la fa
Samuele, la sua passione, il suo carattere e il suo sorriso cordiale che si
diffondono piacevolmente negli aromi dei suoi vini.
La prossima
volta che venite da queste parti non fatevelo dire due volte, chiamatelo e
fissate un appuntamento. Solo in questo modo riuscire a comprende la natura di
un supereroico vignaiolo autentico.
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