sabato 30 aprile 2016

I vini del vulcano (i bianchi)


Ed eccoci arrivati alla seconda parte del percorso avviato tra vitigni e terreni vulcanici. Relatore Livio Del Chiaro, ampia platea come oramai di consueto e tre efficienti sommelier a prestare un celere servizio per permettere a tutti di degustare i vini a giusta temperatura di servizio.
Si parte con un breve ripasso di quella che sono le zone vulcaniche dove si coltiva la vite in Italia e dell’influenza che possono avere questi terreni sull’agricoltura e di conseguenza anche sui suoi derivati, come appunto il vino.
Freschezza, mineralità e sapidità accompagneranno questo percorso fino alla fine, compreso vinificazioni particolari come l’appassimento o le lunghe macerazioni in anfora.
Partiremo dalla zona del Soave con i suoi terreni con marne calcaree e scheletri basaltici, scendendo verso la zona dei laghi vulcanici laziali, a Gradoli per la precisione. Poi in Irpinia col suo tufo grigio, e ancora verso Napoli e i suoi lapilli per arrivare finalmente in Sicilia, sull’ Etna i cui terreni abbondano di lava e di sabbie ricche di microparticelle di metalli e Sali. Termineremo il nostro viaggio sull’isola di Salina con i suoi vulcani gemelli e la sua meravigliosa Malvasia che si è meritata una IGT tutta sua.
Il vino misterioso è una sorpresa e lo scopriremo alla fine del percorso.

Inizia la degustazione

Vediamo insieme aziende e vini in ordine di apparizione




Filippi – Soave Colli Scaligeri “Castelcerino” 2014

Azienda biologica che coltiva su terreni Con marne calcaree e basalti. Garganega 100% affinata 18 mesi “sur lie”. Spicca al primo sorso la grande mineralità che si apre in un paniere di fiori gialli dove fanno bella mostra di se la ginestra e la camomilla. Aumenta l’intensità che porta con se il frutto grasso, la polpa di pera e mela. Freschezza viva e mineralità a non finire. Sapido o meglio salato in buon equilibrio con la grassezza del corpo e di grande beva. Il mio preferito.



Andrea Occhipinti – Lazio IGT – Alter Alea 2015

Azienda biodinamica su terreni ricchi di lapilli vulcanici. Aleatico di Gradoli (ma è un uva rossa !) vinificato in bianco. Un blanc de noir vulcanico. Dorato, minerale, sulfureo intenso. Con un po’ di maestria lasciamo che il naso si saturi delle note minerali e scopriamo la sua anima. Fragoline e lamponi, la rosa delicata quasi da Traminer aromatico elegante. Buona struttura, grande freschezza e sapidità. Nel finale si accentua una nota vegetale verde appena tagliato e di erbette aromatiche. La mineralità della pietra focaia è veramente importante e ne condiziona un poco la beva.





Cantine di Marzo – Greco di Tufo 2014

Qualche bottiglia difficile che riusciamo ad eludere. Terreno ricco di scheletro vulcanico, di sabbie e lapilli. Floreale sottile di mughetto e gelsomino, un esplosione di frutta secca, di mandorle, di gherigli di noce ben integrate nella polpa di pera e di frutta esotica. Grande morbidezza donata dalla malolattica che cerca di stemperare il carattere tagliente del vulcano. Ancora una volta una sapidità prorompente. Nel finale, scaldandosi, si accentueranno note polverose da vecchia cassapanca in soffitta.



Casa Setaro – Lacryma Christi del vesuvio – Munazei 2014

Terreni ricchi di sali minerali e di potassio, sabbie nere sature di lapilli. 100% Caprettone, uva autoctona su cui si è a lungo discusso identificandola come ceppo clone della Coda di Colpe bianca, ma gli ultimi studi hanno escluso questa ipotesi. Frutto ampio di ananas, pompelmo, papaya e mango, fresco vivo e salato, iodato, intenso di salsedine. Un sorso di mare profumato con un finale persistente e amarognolo, con una punta vegetale di the verde.



Benati – Etna bianco di Caselle 2013

Vigne tra 900 e 1000 mt/slm. Terreni sabbiosi vulcanici. Carricante 100% coltivato ad alberello. Mele ed agrumi, zagare e pompelmo, pesca bianca, ananas,… potrei continuare all’infinito. Una cornucopia di frutta perfettamente identificabile, scolpita e ben definita. Gli aromi del pepolino accompagnano in bocca freschezza e sapidità. Grande armonia e finezza. Ottimo come lo sono i buoni bianchi dell’Etna.



Barone di Villagrande – Salina IGT – Passito 2011

Terreni lavici sciolti, perfettamente drenanti. Malvasia delle Lipari 95% - Corinto Nero 5% .  Appassitura al sole e al vento dell’isola su graticci. Color ambra chiaro, brillante come una pietra preziosa. Ginestra e erbe aromatiche, Albicocche secche, fichi secchi, datteri, miele. Profumato ma mai eccessivo, fine ed elegante. Figlio del vento e del sale che porta con se in equilibrio con la nota dolce dell’appassitura. Finale intensamente ferroso.

Cala un ombra misteriosa sulla platea….

Ed ecco la sorpresa, bottiglie avvolte nella stagnola, si intravede la forma della classica borgognona. Nel bicchiere il vino è paglierino chiaro, quasi una limonata, torbido, evidentemente non filtrato. Al naso, a dispetto del colore si apre con note tipiche da lunga macerazione. Ma qualcosa non torna tra naso e occhi. Gli odori sono quelli dei lieviti, delle pesche e della frutta secca. Per chi ha un po’ di esperienza si capisce bene la lunga macerazione e dato il colore si può azzardare l’usa delle anfore. Ma il gusto è irriconoscibile. La prima cosa che mi viene in mente è una Malvasia Istriana, da molti vinificata in anfore, ma i terreni sono carsici e non vulcanici. Solo un lampo di genio riconducibile al tema della serata mi fa tornare alla mente un vino che ho già bevuto.




I Cacciagalli – Zagreo 2014

Fiano vinificato e affinato in anfore di terracotta. Del Fiano ha poco ma la beva è piacevole, soprattutto se amate i biodinamici con lunghe macerazioni. Un vino quasi da meditazione tanto è alta la variabilità degli aromi all’alzarsi della temperatura.



La serata è finita, divertente, intrigante, ben condotta in una trama di territori, vitigni e sorprese. Un modo sorprendente e divertente di scoprire l’enografia di zone figlie di un dio minore, Vulcano.

giovedì 28 aprile 2016

Les beaux jours du Beaujolais…….la scoperta della Borgogna si sposta a sud



Zona inconsueta il Beaujolais per una degustazione, ma in Fisar tutto è possibile e Anna Paola stasera ha preparato un bell’approfondimento con vini non facili da trovare. La Francia è il suo territorio, è a suo agio e si vede tanto scorre piacevole e interessante la presentazione, dalla storia alla geografia, passando per la geologia, la viticultura e le note enologiche del caso. Come sempre due sommelier impeccabili per il servizio alle oltre 40 persone che partecipano alla serata.
AOC : note generali

Estensione del sud della Borgogna, a sud di Macon, Beaujolais è ufficialmente collegato alla regione vinicola della Borgogna. La regione prende il nome dai signori di Beaujeu che furono i proprietari fino al 1400. La denominazione Beaujolais  produce principalmente vini rossi dal vitigno Gamay vinificati secondo i principi della vinificazione semi-carbonica che favorisce l’estrazione di  aromi floreali e fruttati. Gli antichi rilievi granitici arrotondati posti a nord-ovest della zona sono la terra privilegiata dei dieci cru delle denominazioni Beaujolais e Beaujolais-Villages. Qui i vigneti ricoprono le pendici ricoperte di sabbie e sedimenti che si affacciano sul massiccio centrale, fino a 500 m di altitudine. Dieci in tutto sono i cru di questa zona e stasera ne assaggeremo ben sei.
Nei terreni freddi della Francia settentrionale e della Borgogna il sistema d'allevamento migliore è senza dubbio il basso alberello, il più adatto per esempio nei terreni ricchi di granito del Beaujolais. Questo sistema d'allevamento riesce a fornire ottime rese, anche in qualità senza grossi interventi di potatura oltre al consueto mantenimento dell'alberello.
La “lotta ragionata” qui è di casa e i suoi principi applicati con dedizione.
Il Gamay raramente fornisce un forte apporto alcolico, e per questo si usa bene per i vini novelli, che richiedono una certa freschezza e leggerezza. Raramente viene assemblato. Solo in Francia e Svizzera si abbina al Pinot Noir, ma i risultati sono spesso deludenti.

Molto meglio in purezza, avendo un legame indissolubile e dipendente con la sua area favorita, il Beaujolais appunto, dove la coltivazione della varietà è praticamente esclusiva a parte qualche ettaro vitato di Chardonnay per la produzione di bianchi della zona di cui avevamo sentito un rappresentate durante la serata Chablis.
L'acidità fornita al vino è notevole, con profumi di frutti rossi maturi ma allo stesso tempo molto freschi e una trama tannica fine e fitta. Una caratteristico di quest'uva soprattutto in vini giovani sono i possibili aromi di banana, tofee e di acetato, dovuto proprio alla fermentazione anaerobica e alla macerazione carbonica o meglio semi-carbonica.

Il necessario riscontro : ai sensi non si mente

Domaine Bergeron Beaujolais Julienas 2014 Julienas AOC
Terreni di transizione da alluvionali a granito. Ottima annata. Lotta ragionata come comune da queste parti Rubino intenso, striature viola, Frutta rossa molto intensa, stramatura fin quasi alla banana, leggera speziatura e fiori. Manca completamente di corpo e struttura e siamo al limite del disarmonico. . Vita breve, da non bere oltre i 2/3 anni dalla vendemmia in media.

Domaine Jean-Claude Lapalu Beaujolais Brouilly "Vieilles Vignes" 2014  Broully AOC
12ha su suoli granitici ai piedi del monte Brouilly, biologico con chimica quasi del tutto assente. Rese bassissime, 20hl/ha, Graniti e sabbie. Semi-carbonica a grappolo intero e parte tradizionale borgognona. Prugne e frutti di bosco, spiccata mineralità, note vegetali verdi, tannini fini, boisé, purtroppo tutto molto scomposto. La malolattica non basta a stemperare il carattere ma probabilmente è solo giovane e da risentire più avanti.

Domaine Des Nugues Beaujolais Fleurie 2013 Fleurie AOC
Granito rosa, clima continentale che dona acidità e profumi.Il naso propone aromi intensi di fiori, rosa canina, violette, peonie e frutti rossi di bosco. Buona la struttura e in generale tutte le note morbide che permettono di raggiungere equilibrio con l’acidità sempre molto spiccata di questi vini e la fitta trama tannica. Semi-carbonica e malolattica sembrano insieme un buon compromesso.

Domaine des Terrs Dorées Beaujolais Morgon 2013
Scisti e graniti su residui vulcanici . Frutti Rossi maturi che si spingono fino alle mele cotogne, fiori secchi, poutpourri. La bocca diventa morbida e carnosa e trova un buon equilibrio con freschezza e tannini. Stiamo salendo di livello e anche le barrique usate per l’affinamento, seppur di 4 o 5 livello fanno bene il loro lavoro senza appesantire il vino.

Domaine des Terrs Dorées Beaujolais Moulin-à-Vent 2013
Frutta rossa e nera , spezie e sottobosco. Rose secche e boise. Vino più concentrato e tannico probabilmente a causa del terreno ricco di manganese, tossico per la vite, che ritarda la crescita e rende i grappoli piccoli e concentrati. Si iniziano a trovare note chimiche di acetati, tipiche del Gamay.


 
 Château Des Jacques Beaujolais Chénas 2011
Chenas sono le querce, siamo in un bosco tra le altitudini maggiori del Beaujolais. Produzione tipica borgognona, senza macerazione semi-carbonica. Vini di maggior struttura e possibilità di affinamento. Zona di dimensioni ridotte, terreni poco fertili, bucce sottili, acini piccoli. Ancora le note tipiche di fiori e frutta e la parte acetata, forse a causa dell’affinamento, adesso emerge ben nitida,lo stesso odore dei fogli di acetato che una volta si usavano per le lavagne luminose. Le note terziarie dovute all’affinamento in barrique più giovani si sentono nette ma donano grazia ai tannini fitti e verdi del gamay. Per me il più piacevole e completo della serata.

 
Immancabile vino a sorpresa. Arrivano delle bollicine, rosé, sottili e morbide in bocca, gentili e aggraziate, quasi da moscato a tappo raso. E’ un ancestrale a base di uve Gamay, 4,5% demi-sec (e si sente bene lo zucchero). Profumi intensi di fragole e lamponi rossi e maturi, il tutto in buon equilibrio grazie ancora alla spiccata acidità che gli dona l’uva e il clima dove cresce. Ancora Domaine des Terres Dorée – FRV100 il nome. A chi piace il Brachetto con questo va a nozze !




lunedì 25 aprile 2016

Roederer Cristal : la bestia mitologica

Ovvero come prepararsi al meglio prima della gita in Champagne
Ai primi di Giugno si parte per lo Champagne (mangerò riso in bianco da 15 giorni prima della partenza) e la necessità di alzare l’asticella, di migliorare il metro della comprensione, cresce, in maniera spropositata!
Come fare allora per non dilapidare uno stipendio acquistando grandi champagne in rete? Facile! Una degustazione con vini mitologici e ci si trova immediatamente proiettati alla corte degli Zar di Russia per capire perché avevano commissionato a quel visionario di Roederer gli champagne per i loro baccanali.
Fine Marzo, ora di cena, Enoteca To Wine a Prato. L’amico Gionni organizza infrasettimanalmente degustazioni “mitologiche” con vari mostri sacri dell’enologia mondiale e stavolta tocca a Roederer. Proprio quello che ci voleva.
Ci sono la Cuvée “base” brut premier, due Vintage delle annate 2007 e 2008, il brut nature 2006 Starck, difficilissimo da trovare, e per i fuochi d’artificio due Cristal nelle annate 2006 e 2007
Un po di geografia
Roederer è una delle rare grandi Maison ancora a gestione familiare indipendente nello Champagne che possiede circa 240 ettari di vigneti disposti su oltre quattrocento appezzamenti nei grand cru e premier cur, ben suddivisi un terzo ciascuno tra Montagna di Reims, Valle della Marna e Cote de Blancs. La più grande azienda biodinamica dello Champagne.
L’intuizione
La differenza viene fatta dal fondatore a partire dalla metà del 1800 quando in controtendenza con le usanze di allora decide di iniziare ad acquistare appezzamenti di terreno a Verzenay piuttosto che acquistare le uve dai piccoli conferitori, dando così valore estremo al terreno invece che alle lavorazioni. Alla fine del 1800 i suoi champagne sono bevuti nei migliori salotti degli Stati Uniti e perfino alla corte dello Zar Alessandro II in Russia. A partire dai primi anni ‘20 prenderà forma la loro filosofia che li porterà a ricercare un impronta riconoscibile, basata fondamentalmente su grandi equilibri ed eleganza del vino e molto orientata ai grandi principi delle culture biodinamiche.
La materia
Chardonnay, Pinot Noir e Pinot Meunier sono gli uvaggi tipici di questa zona e l’uso che ne fa la Maison, spesso spostato sulle uve nere, riesce a donare alle loro cuvée grande forza e struttura così pure come la morbidezza necessaria per gli equilibri. Il lavoro in cantina con la sapiente comprensione dei vini ottenuti e dell’uso delle loro percentuali nella cuvée piuttosto  che il sapiente impiego della malolattica permette invece di offrire gli equilibri e il timbro elegante di questa azienda.
Il segreto
Il lavoro importante per chi crea champagne sta nella selezione precisa delle uve e nella vinificazione separata dei singoli vigneti che garantisce il rispetto dell’origine, la tracciabilità dell’uva e una perfetta conoscenza del frutto praticamente di ogni filare di viti.
All’interno di ogni botte il vino deve mantenere intatta la propria originalità, la ricchezza e la diversità che lo caratterizza. Il contenuto delle botti viene assaggiato quotidianamente da degustatori professionisti e classificato per famiglia di aromi, sapori, carattere. Tutte le note vengono classificate. I vini base riassaggiati e riclassificati di continuo durante lo sviluppo fino al raggiungimento delle caratteristiche espressive migliori.
Il genio
La fine dell’opera, quello che dà la pennellata dell’artista, il marchio riconoscibile allo champagne, è il lavoro dello chef de caves, un vero e proprio “alchimista” che con infinita esperienza e gusto riesce a combinare gli aspetti organolettici di ogni vino per ottenere proprio “quella cuvée”, quella che sia riconoscibile da chiunque al mondo. Il marchio di fabbrica di ogni Maison.
Passiamo al vino in degustazione
Di seguito in sequenza gli champagne in degustazione, tutti accompagnati da gustosi piatti preparati dall’enoteca, dal classico antipasto misto toscano alla pasta e fagioli come la faceva la nonna di Monica, con la pasta maritata per finire con una gustosa battuta.
Brut Premier Sans Année
La cuvée di ingresso della Maison, sicuramente fra le più riconoscibili tra tutti i S.A. Non è la prima volta che la bevo e ogni volta mi sorprende per equilibrio ed eleganza. Forse tra i migliori champagne di questo livello in circolazione. Un terzo di Chardonnay e due terzi di pinot nero e pinot Meunier di cui quest’ultimo varia tra un 10% e un 15%. Una media di circa 3 anni di invecchiamento prima di andare in commercio. Si presenta con un bell’oro brillante e un perlage finissimo e persistente che in bocca diventa morbido e cremoso. I fiori bianchi, la frutta secca e la crosta di pane lo contraddistinguono. Buona struttura e freschezza in un notevole equilibrio tra frutto del Pinot Noir, freschezza dello Chardonnay e morbidezza del Meunier.
Vintage 2008
Inizia la danza degli uvaggi e del lavoro dello Chef de cave : 70% Pinot Noir, 30% Chardonnay. Il 37% vinifica in botti di rovere con batonnage settimanali. Vista la buona maturazione grazie all’annata definita “Eccellente”, la malolattica non viene svolta per lasciare così intatta la freschezza dello Chardonnay. Il dosaggio comune un po’ a tutti i vini Brut della serata è attorno ai 9g/lt, non basso forse, ma eccellente per raggiungere equilibrio del vino. Lo champagne si presenta al naso con un tocco floreale, un bel frutto bianco polposo di pera e pesca e le scorze degli agrumi. Nel finale emergono le mandorle tostate e il boisé, che donano una leggera nota amara alla bocca. Un vino corposo ed energico ma mai prepotente.
Vintage 2007
Annata definita “Trés bon” causa del clima instabile che l’ha un po’ condizionata, primavera calda e estate fresca da queste parti dove in alcuni casi si è arrivati a una vendemmia tardiva. Stessa cuvée del precedente, analogo il dosaggio. 4 anni di affinamento in cantina più altri 6 mesi dopo la sboccatura. Dorato intenso, quasi ramato nelle sue sfumature, la bolla è finissima e persistente, una crema in bocca che accarezza lingua e palato. Il frutto è importante, la pera e la frutta secca con la nota dolce della vaniglia che torna dal palato. L’attacco taglia la lingua ma poi si apre e si distende nella morbidezza e nella struttura del frutto raggiungendo una grande armonia. Le tostature perfettamente integrate nel frutto regalano grande complessità e sostengono piacevolmente la bevuta. Grandissimo carattere, forse il migliore della serata.
Brut Nature 2006 by Starck
L’araba fenice, difficilissimo da trovare in degustazione. Figlio di un recente esperimento di voler creare un brut nature meno classico e più modaiolo. Un vino che nasce con la volontà di sorprendere a partire dall’imballo non convenzionale per questa maison. Le annate 2006 e 2007 sono simili come valutazione del millesimo. L’azienda stava provando a realizzare questo vino dal 2003 senza però trovare un equilibrio soddisfacente che invece arriva con la vendemmia del 2006. Il vino non fa malolattica e non è dosato, pensato per spingere al massimo il carattere acuto, compensato solo dal grande frutto del Pinot. Due terzi Pinot Noir e un terzo Chardonnay l’uvaggio. Dorato intenso, brillante, naso preciso, netto, di pera williams e biancospino, scorze di agrumi, nocciole tostate, gessoso e affumicato, con un buon profumo di cornetti caldi appena sformati che torna nel finale. La bocca è pura, pulita, viva, tagliente, sapida, pietrosa, poco francese ma molto internazionale nello suo stile Nature.
Cristal 2007
Del millesimo ne abbiamo parlato e preferisco concentrarmi sul vino, sul mio primo Cristal. Bottiglia classica con fondo piatto spesso un dito, vetro bianco perfettamente trasparente, cristallino, in cui risalta il retro dell’etichetta frontale con il marchio della Maison. Un vino leggendario che un po’ mette soggezione, nato per soddisfare al gusto di uno Zar. L’animale mitologico sta davanti a me, nel bicchiere.
Prodotto solo nelle annate considerate migliori dai 7 Grand Cru dell’azienda. Niente malolattica per preservare la freschezza, 9,5g/lt il dosaggio. 58% di Pinot Noir - 42% di Chardonnay - 15% dei vini vinificati in legno (fusti di rovere) con bâtonnage settimanale. Nessuna fermentazione malolattica. La cuvée Cristal viene elaborata a partire dai grand cru della Montagne de Reims, la Vallée de la Marne e la Côte des Blancs. Cinque anni di maturazione in cantina – otto mesi di riposo dopo lo sboccamento. Un magnifico oro zecchino che sfuma verso l’ambra. Perlage ricco e finissimo, infinito. Ancora la pera matura, il ribes, gli ampi profumi della pasticceria, dei biscotti danesi al burro, una torta di mele appena sfornata.
Aspro ma allo stesso tempo dolce, la nota dolce tipica di questo champagne, la nota tipica del Cristal. Cremoso, setoso e morbido ma allo stesso tempo diretto e tagliente. Estrema complessità.
Cristal 2006
Anche di questa annata ho già accennato, cambia leggermente l’uvaggio per andare a cercare ancora equilibrio. 55% di Pinot Noir - 45% di Chardonnay - 20% di vini vinificati in legno (fusti di rovere) con bâtonnage settimanale. Nessuna fermentazione malolattica. Purezza di profumi ed equilibri. Il colore è molto simile al precedente, la bolla finissima e lucente. Note tipiche al naso di scorze di limoni e arancia canditi, di mandorle tostate e di un floreale fresco, i fiori eleganti del biancospino, a dispetto del colore. La materia della bocca è carnosa e anche l’intensità dei profumi cresce. Al naso sembrava un po’ timido ma in bocca si presenta con forza, entra dritto, si apre e gira morbido, mettendoci perfettamente a nostro agio. La freschezza, la mineralità gessosa, sostengono in perfetto equilibrio la struttura del frutto del Pinot.
Finalmente il mito si è svelato!
Le conclusioni
Una degustazione di questo livello, sia per qualità che per quantità dei vini non è comune. La soddisfazione di aver finalmente bevuto un Cristal, anzi due, è tanta. La sorpresa dello Starck è stata un po’ come la ciliegina sulla torta, il dono inaspettato a un bambino che rimane con gli occhi spalancati e la bocca aperta dallo stupore. Non rimane che ringraziare come sempre chi ha avuto l’idea e ha reso possibile una serata così. A Giugno finalmente andremo in Champagnecon un metro di paragone un po più alto per comprendere tante altre realtà che producono piccole eccellenze.

sabato 23 aprile 2016

I vini del vulcano (i rossi)




Due serate organizzate da Fisar Firenze dove scoprire come l’incidenza di territori vulcanici condizioni la natura e il gusto del vino. Due perché si parla di rossi e di bianchi un po’ da tutte le zone d’Italia. Ma come parlare di Vulcani senza allontanare la gente dal vino? Semplice, usiamo fra i relatori un figlio del vulcano, Martin. Il difficile è poi scrivere un articolo senza annoiare, senza fare una lezione magistrale sui vulcani o senza distruggere 12 vini andando a cercare eccessi o spigolarure, zolfo o cenere.

Partiamo dai vulcani

Per le prossime 8000 righe faremo un’analisi approfondita di natura, usi e costumi dei vulcani del mondo…..o forse no.
Presenti sulla terra da prima che esistesse l’uomo, continuano a condizionarne l’esistenza nel bene e nel male. Da sempre considerati alla stregua di Dei, capaci di distribuire paura e terrore e allo stesso tempo risorse minerarie utili per la vita, la fertilità. Austeri, enigmatici e poco comprensibili, irosi e irascibili (oddio ! se passano il loro carattere al vino siamo rovinati ..) Buona parte dell’Italia, almeno tutta quella di origine non alluvionale, ci poggia sopra o a lato. Vivi o spenti che siano la loro presenza è sensibile nel mondo con il suo 1% della superficie che sostiene il 10% della popolazione. In Italia anche, visto che la superficie vitata su cui insistono le doc di origine vulcanica ammonta a 17.050 ettari, per una capacità produttiva di 1.262.923 ettolitri di vino, che in termini di bottiglie corrispondo a 150 milioni di bottiglie. Non male per il nostro amico Vulcano ! 

La geografia non fa mai male

E dove sono questi benedetti vulcano con le sorridenti vigne? Mai visto uno nel Chianti, vuoi vedere che Lorenzo lo ha nascosto camuffandolo da antico borgo medioevale?  Nel 2012 nasce in Italia Volcanic Wines, un’associazione di cui è capofila il Consorzio del Soave, che raccoglie sotto tutte le DOC italiane di origine vulcanica : Consorzio del Soave, Consorzio Tutela Bianco di Pitigliano, Consorzio Tutela Vini Lessini Durello, Consorzio per la Tutela dei Vini Orvieto, Consorzio Tutela Vini di Gambellara, Enoteca Provinciale della Tuscia, Consorzio Vini doc Colli Euganei, Cantina di Mogoro (Sardegna), Consorzio Tutela Vini dei Campi Flegrei, Comune di Milo, Consorzio di Tutela Vini del Vesuvio, Comune di Pantelleria, Consorzio Tutela Vini Etna doc, Consorzio di Tutela Vini d’Ischia.
Veneto, Toscana, Lazio, Campani e Sicilia; tutta la spina dorsale della nostra penisola.



“Ma parliamo anche di vino che ci stai annoiando?”

E come no! Due serate, bianchi e rossi, 6 referenze per tipo, conosciute, e una per tipologia di colore a sorpresa, i vini misteriosi. 14 sbuffi dei nostri vulcani cosa ci riserveranno? Fuoco? Fumi? Magma? Lapilli e Bombe?

I rossi

Le bottiglie stappate creano già degno scompiglio senza che ancora siano state servite e l’ordine di servizio viene prontamente sistemato dai nostri due bravi sommelier, Samuele e Giovanni, attenti tutori e vati premonitori delle caratteristiche dei vini prima del servizio.



Si aprono le danze con il vulcano per eccellenza, il Vesuvio, e il vino è Agnanum, Pedirosso “Vigna delle Volpi” 2013, il vino delle sabbie nere dei Campi Flegrei. Dei terrazzamenti pregni della materia del vulcano. E ecco che subito uno dei vitigni tipici e caratteristici della Campania mostra cosa riesce a fare il vulcano. Zolfo e lapilli, braci fumanti accompagnano il frutto nel bicchiere e si mischiano a note balsamiche, speziate e a tannini finissimi e levigati. Per tutta la sera porterà con se evidenti tracce di eruzione. 

Saliamo allora la costa, su verso il Lazio dove i vulcani sono spenti ma le tracce di loro rimangono ben evidenti nei terreni e nei laghi. I colli laziali dove si coltiva il Cesanese del Piglio sono la zona per eccellenza e Olevano il nostro centro vinicolo. Il vino è chiaramente un Cesanese di Olevano Romano di Damiano Ciolli 2013, unico vero autoctono, e l’abbacchio il suo degno compagno immaginario su una tavola imbandita. Qui le note sono ancora quelle della cenere, quello che i sommelier chiamo Boisé, il ceppo fumante del camino, un po’ aspro e sapido, vegetale verde di legno appena tagliato, di carciofo. La mineralità del terreno diventa grafite e il frutto rosso, seppur presente fa da spalla, mai da protagonista. 

Un balzo e siamo sui Colli Berici, rocce calcaree, argille rosse e basalti vulcanici. L’uva è autoctona, TAI Rosso. Un vino che nasce per le osterie, leggero e di facile beva, ma lavorato in bassissime rese con lunghi affinamenti cambia faccia e si trasforma. Piovene Porto Godi “Thovara” 2011. Sapido fresco e potente. Amarene, fiori secchi e polvere pirica. Gustoso, pulito e profumato. Elegante nonostante il vulcano. Alla fine sarà il mio preferito.

Un sbuffo e siamo catapultati in Toscana, alle pendici del Monte Amiata, zona Montecucco tanto per intenderci. Il terreno porta con se tutta la mineralità del cuore del vulcano e il clima da queste parti ha grossi sbalzi termici che regalano al vino freschezza. Castello di Potentino, Toscana IGT “Sacromonte” 2011. Come spesso da queste parti un nome che riprende le leggende degli Etruschi e il vulcano che diventa il “monte sacro”. Il Sangiovese lo conosciamo per tradizione e cultura. Qui diventa elegante, fresco ma non tagliente. Fruttato e balsamico, all’apice della sua bellezza, maturo, etereo, in buona armonia generale.

Sicilia arriviamo !! Un giro di servizio dei sommelier e eccoci sull’Etna, non alle pendici, un po’ più su tra 700 e 800 mt slm. Girolamo Russo, Etna “San Lorenzo” 2008. Un cru biologica che nasce direttamente sulle colate laviche su terreni porosi che poco lasciano alla vigna costretta a scavare in profondità, a piede franco, per trovare l’acqua. E nel suo percorso si nutre dell’anima del vulcano. Fiori secchi, marasche, erbe aromatiche e balsamiche, l’odore del sottobosco e dei suoi funghetti appena nati. Una trama tannica importante ma fittissima e tanta freschezza e sapidità.

Siamo sempre al sud, terra di vulcani, e non poteva certo mancare un giro all’estremo nord della Basilicata dove il monte Vulture va bella mostra di se senza nascondere affatto il suo evidente volto vulcanico. Siamo in una piccola cultura biologica, niente lieviti selezionati, nessuna chiarifica, nessuna stabilizzazione. Pensa a tutto il vulcano e l’uomo che vive sui suoi terreni. Musto Carmelitano Aglianico del Vulture “Serra del Prete” 2011. L’aglianico è a ragione il Barolo del Sud. Magari non sempre per eleganza, ma sicuramente per capacità di invecchiamento, per forza e carattere. Prevale il frutto, la mentuccia, la liquirizia e la china, Fresco e sapido con ancora un grande tannino verde che si lascia perdonare solo perché molto fine. Mi sa che dovremmo aspettare ancora con pazienza qualche anno perché riesca a integrarsi. Il vulcano qui non sbuffa, è morto o fa finta di dormire, ma la fertilità minerale che ha lasciato permette di addomesticare in parte il frutto importante di questa uva.

Non è ancora finita ma non siamo stanchi

Vino a sorpresa, davvero una sorpresa. Purtroppo il mio bicchiere non era pulitissimo e può capitare. Cuoio, tabacco, terra bagnata, la volpe….ma Martin arriva in sostegno col suo bicchiere (potenza dei relatori). Impossibile da identificare se non per un Sardo e forse nemmeno per lui. Uva Bovale 100%, DOC Campidano di Terralba, Cantina del Bovale, vendemmia 2008. E che diavolo ci fa un vulcano in Sardegna terra di graniti? Adesso niente, è spento e dorme, ma il Monte Arci in questa zona ha disseminato ossidiana ovunque nell’epoca in cui eruttava e questi terreni portano ancora con se quella natura. La trama tannica è importante ma i Tonneau sanno come lavorarla. Un vino forte e virile, corposo.



Proseguiremo dopo il 29 con una carrellata sui bianchi per vedere come influisce la natura vulcanica dei territori su vini privi di tannini. Stay tuned

i vini del Sud Africa