Due serate organizzate da Fisar Firenze dove scoprire come
l’incidenza di territori vulcanici condizioni la natura e il gusto del vino.
Due perché si parla di rossi e di bianchi un po’ da tutte le zone d’Italia. Ma
come parlare di Vulcani senza allontanare la gente dal vino? Semplice, usiamo
fra i relatori un figlio del vulcano, Martin. Il difficile è poi scrivere un
articolo senza annoiare, senza fare una lezione magistrale sui vulcani o senza
distruggere 12 vini andando a cercare eccessi o spigolarure, zolfo o cenere.
Partiamo dai vulcani
Per le prossime 8000 righe faremo un’analisi approfondita di
natura, usi e costumi dei vulcani del mondo…..o forse no.
Presenti sulla terra da prima che esistesse l’uomo,
continuano a condizionarne l’esistenza nel bene e nel male. Da sempre
considerati alla stregua di Dei, capaci di distribuire paura e terrore e allo
stesso tempo risorse minerarie utili per la vita, la fertilità. Austeri, enigmatici
e poco comprensibili, irosi e irascibili (oddio ! se passano il loro carattere
al vino siamo rovinati ..) Buona parte dell’Italia, almeno tutta quella di
origine non alluvionale, ci poggia sopra o a lato. Vivi o spenti che siano la
loro presenza è sensibile nel mondo con il suo 1% della superficie che sostiene
il 10% della popolazione. In Italia anche, visto che la superficie vitata su
cui insistono le doc di origine vulcanica ammonta a 17.050 ettari, per una
capacità produttiva di 1.262.923 ettolitri di vino, che in termini di bottiglie
corrispondo a 150 milioni di bottiglie. Non male per il nostro amico Vulcano !
La geografia non fa
mai male
E dove sono questi benedetti vulcano con le sorridenti
vigne? Mai visto uno nel Chianti, vuoi vedere che Lorenzo lo ha nascosto
camuffandolo da antico borgo medioevale? Nel 2012 nasce in Italia Volcanic Wines,
un’associazione di cui è capofila il Consorzio del Soave, che raccoglie sotto
tutte le DOC italiane di origine vulcanica : Consorzio del Soave, Consorzio
Tutela Bianco di Pitigliano, Consorzio Tutela Vini Lessini Durello, Consorzio
per la Tutela dei Vini Orvieto, Consorzio Tutela Vini di Gambellara, Enoteca
Provinciale della Tuscia, Consorzio Vini doc Colli Euganei, Cantina di Mogoro
(Sardegna), Consorzio Tutela Vini dei Campi Flegrei, Comune di Milo, Consorzio
di Tutela Vini del Vesuvio, Comune di Pantelleria, Consorzio Tutela Vini Etna
doc, Consorzio di Tutela Vini d’Ischia.
Veneto, Toscana, Lazio, Campani e Sicilia; tutta la spina
dorsale della nostra penisola.
“Ma parliamo anche di vino che ci stai annoiando?”
E come no! Due serate, bianchi e rossi, 6 referenze per tipo,
conosciute, e una per tipologia di colore a sorpresa, i vini misteriosi. 14
sbuffi dei nostri vulcani cosa ci riserveranno? Fuoco? Fumi? Magma? Lapilli e Bombe?
I rossi
Le bottiglie stappate creano già degno scompiglio senza che
ancora siano state servite e l’ordine di servizio viene prontamente sistemato
dai nostri due bravi sommelier, Samuele e Giovanni, attenti tutori e vati
premonitori delle caratteristiche dei vini prima del servizio.
Si aprono le danze con il vulcano per eccellenza, il
Vesuvio, e il vino è Agnanum, Pedirosso
“Vigna delle Volpi” 2013, il vino delle sabbie nere dei Campi Flegrei. Dei
terrazzamenti pregni della materia del vulcano. E ecco che subito uno dei
vitigni tipici e caratteristici della Campania mostra cosa riesce a fare il
vulcano. Zolfo e lapilli, braci fumanti accompagnano il frutto nel bicchiere e
si mischiano a note balsamiche, speziate e a tannini finissimi e levigati. Per
tutta la sera porterà con se evidenti tracce di eruzione.
Saliamo allora la costa, su verso il Lazio dove i vulcani
sono spenti ma le tracce di loro rimangono ben evidenti nei terreni e nei
laghi. I colli laziali dove si coltiva il Cesanese del Piglio sono la zona per
eccellenza e Olevano il nostro centro vinicolo. Il vino è chiaramente un Cesanese di Olevano Romano di Damiano
Ciolli 2013, unico vero autoctono, e l’abbacchio il suo degno compagno
immaginario su una tavola imbandita. Qui le note sono ancora quelle della
cenere, quello che i sommelier chiamo Boisé, il ceppo fumante del camino, un
po’ aspro e sapido, vegetale verde di legno appena tagliato, di carciofo. La
mineralità del terreno diventa grafite e il frutto rosso, seppur presente fa da
spalla, mai da protagonista.
Un balzo e siamo sui Colli Berici, rocce calcaree, argille
rosse e basalti vulcanici. L’uva è autoctona, TAI Rosso. Un vino che nasce per
le osterie, leggero e di facile beva, ma lavorato in bassissime rese con lunghi
affinamenti cambia faccia e si trasforma. Piovene
Porto Godi “Thovara” 2011. Sapido fresco e potente. Amarene, fiori secchi e
polvere pirica. Gustoso, pulito e profumato. Elegante nonostante il vulcano.
Alla fine sarà il mio preferito.
Un sbuffo e siamo catapultati in Toscana, alle pendici del
Monte Amiata, zona Montecucco tanto per intenderci. Il terreno porta con se
tutta la mineralità del cuore del vulcano e il clima da queste parti ha grossi
sbalzi termici che regalano al vino freschezza. Castello di Potentino, Toscana IGT “Sacromonte” 2011. Come spesso
da queste parti un nome che riprende le leggende degli Etruschi e il vulcano
che diventa il “monte sacro”. Il Sangiovese lo conosciamo per tradizione e
cultura. Qui diventa elegante, fresco ma non tagliente. Fruttato e balsamico,
all’apice della sua bellezza, maturo, etereo, in buona armonia generale.
Sicilia arriviamo !! Un giro di servizio dei sommelier e
eccoci sull’Etna, non alle pendici, un po’ più su tra 700 e 800 mt slm. Girolamo Russo, Etna “San Lorenzo” 2008.
Un cru biologica che nasce direttamente sulle colate laviche su terreni porosi
che poco lasciano alla vigna costretta a scavare in profondità, a piede franco,
per trovare l’acqua. E nel suo percorso si nutre dell’anima del vulcano. Fiori
secchi, marasche, erbe aromatiche e balsamiche, l’odore del sottobosco e dei
suoi funghetti appena nati. Una trama tannica importante ma fittissima e tanta
freschezza e sapidità.
Siamo sempre al sud, terra di vulcani, e non poteva certo
mancare un giro all’estremo nord della Basilicata dove il monte Vulture va
bella mostra di se senza nascondere affatto il suo evidente volto vulcanico.
Siamo in una piccola cultura biologica, niente lieviti selezionati, nessuna
chiarifica, nessuna stabilizzazione. Pensa a tutto il vulcano e l’uomo che vive
sui suoi terreni. Musto Carmelitano
Aglianico del Vulture “Serra del Prete” 2011. L’aglianico è a ragione il
Barolo del Sud. Magari non sempre per eleganza, ma sicuramente per capacità di
invecchiamento, per forza e carattere. Prevale il frutto, la mentuccia, la
liquirizia e la china, Fresco e sapido con ancora un grande tannino verde che
si lascia perdonare solo perché molto fine. Mi sa che dovremmo aspettare ancora
con pazienza qualche anno perché riesca a integrarsi. Il vulcano qui non
sbuffa, è morto o fa finta di dormire, ma la fertilità minerale che ha lasciato
permette di addomesticare in parte il frutto importante di questa uva.
Non è ancora finita
ma non siamo stanchi
Vino a sorpresa, davvero una sorpresa. Purtroppo il mio
bicchiere non era pulitissimo e può capitare. Cuoio, tabacco, terra bagnata, la
volpe….ma Martin arriva in sostegno col suo bicchiere (potenza dei relatori).
Impossibile da identificare se non per un Sardo e forse nemmeno per lui. Uva Bovale 100%, DOC Campidano di Terralba,
Cantina del Bovale, vendemmia 2008. E che diavolo ci fa un vulcano in Sardegna
terra di graniti? Adesso niente, è spento e dorme, ma il Monte Arci in questa
zona ha disseminato ossidiana ovunque nell’epoca in cui eruttava e questi
terreni portano ancora con se quella natura. La trama tannica è importante ma i
Tonneau sanno come lavorarla. Un vino forte e virile, corposo.
Proseguiremo dopo il 29 con una carrellata sui bianchi per
vedere come influisce la natura vulcanica dei territori su vini privi di
tannini. Stay tuned
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