sabato 23 aprile 2016

I vini del vulcano (i rossi)




Due serate organizzate da Fisar Firenze dove scoprire come l’incidenza di territori vulcanici condizioni la natura e il gusto del vino. Due perché si parla di rossi e di bianchi un po’ da tutte le zone d’Italia. Ma come parlare di Vulcani senza allontanare la gente dal vino? Semplice, usiamo fra i relatori un figlio del vulcano, Martin. Il difficile è poi scrivere un articolo senza annoiare, senza fare una lezione magistrale sui vulcani o senza distruggere 12 vini andando a cercare eccessi o spigolarure, zolfo o cenere.

Partiamo dai vulcani

Per le prossime 8000 righe faremo un’analisi approfondita di natura, usi e costumi dei vulcani del mondo…..o forse no.
Presenti sulla terra da prima che esistesse l’uomo, continuano a condizionarne l’esistenza nel bene e nel male. Da sempre considerati alla stregua di Dei, capaci di distribuire paura e terrore e allo stesso tempo risorse minerarie utili per la vita, la fertilità. Austeri, enigmatici e poco comprensibili, irosi e irascibili (oddio ! se passano il loro carattere al vino siamo rovinati ..) Buona parte dell’Italia, almeno tutta quella di origine non alluvionale, ci poggia sopra o a lato. Vivi o spenti che siano la loro presenza è sensibile nel mondo con il suo 1% della superficie che sostiene il 10% della popolazione. In Italia anche, visto che la superficie vitata su cui insistono le doc di origine vulcanica ammonta a 17.050 ettari, per una capacità produttiva di 1.262.923 ettolitri di vino, che in termini di bottiglie corrispondo a 150 milioni di bottiglie. Non male per il nostro amico Vulcano ! 

La geografia non fa mai male

E dove sono questi benedetti vulcano con le sorridenti vigne? Mai visto uno nel Chianti, vuoi vedere che Lorenzo lo ha nascosto camuffandolo da antico borgo medioevale?  Nel 2012 nasce in Italia Volcanic Wines, un’associazione di cui è capofila il Consorzio del Soave, che raccoglie sotto tutte le DOC italiane di origine vulcanica : Consorzio del Soave, Consorzio Tutela Bianco di Pitigliano, Consorzio Tutela Vini Lessini Durello, Consorzio per la Tutela dei Vini Orvieto, Consorzio Tutela Vini di Gambellara, Enoteca Provinciale della Tuscia, Consorzio Vini doc Colli Euganei, Cantina di Mogoro (Sardegna), Consorzio Tutela Vini dei Campi Flegrei, Comune di Milo, Consorzio di Tutela Vini del Vesuvio, Comune di Pantelleria, Consorzio Tutela Vini Etna doc, Consorzio di Tutela Vini d’Ischia.
Veneto, Toscana, Lazio, Campani e Sicilia; tutta la spina dorsale della nostra penisola.



“Ma parliamo anche di vino che ci stai annoiando?”

E come no! Due serate, bianchi e rossi, 6 referenze per tipo, conosciute, e una per tipologia di colore a sorpresa, i vini misteriosi. 14 sbuffi dei nostri vulcani cosa ci riserveranno? Fuoco? Fumi? Magma? Lapilli e Bombe?

I rossi

Le bottiglie stappate creano già degno scompiglio senza che ancora siano state servite e l’ordine di servizio viene prontamente sistemato dai nostri due bravi sommelier, Samuele e Giovanni, attenti tutori e vati premonitori delle caratteristiche dei vini prima del servizio.



Si aprono le danze con il vulcano per eccellenza, il Vesuvio, e il vino è Agnanum, Pedirosso “Vigna delle Volpi” 2013, il vino delle sabbie nere dei Campi Flegrei. Dei terrazzamenti pregni della materia del vulcano. E ecco che subito uno dei vitigni tipici e caratteristici della Campania mostra cosa riesce a fare il vulcano. Zolfo e lapilli, braci fumanti accompagnano il frutto nel bicchiere e si mischiano a note balsamiche, speziate e a tannini finissimi e levigati. Per tutta la sera porterà con se evidenti tracce di eruzione. 

Saliamo allora la costa, su verso il Lazio dove i vulcani sono spenti ma le tracce di loro rimangono ben evidenti nei terreni e nei laghi. I colli laziali dove si coltiva il Cesanese del Piglio sono la zona per eccellenza e Olevano il nostro centro vinicolo. Il vino è chiaramente un Cesanese di Olevano Romano di Damiano Ciolli 2013, unico vero autoctono, e l’abbacchio il suo degno compagno immaginario su una tavola imbandita. Qui le note sono ancora quelle della cenere, quello che i sommelier chiamo Boisé, il ceppo fumante del camino, un po’ aspro e sapido, vegetale verde di legno appena tagliato, di carciofo. La mineralità del terreno diventa grafite e il frutto rosso, seppur presente fa da spalla, mai da protagonista. 

Un balzo e siamo sui Colli Berici, rocce calcaree, argille rosse e basalti vulcanici. L’uva è autoctona, TAI Rosso. Un vino che nasce per le osterie, leggero e di facile beva, ma lavorato in bassissime rese con lunghi affinamenti cambia faccia e si trasforma. Piovene Porto Godi “Thovara” 2011. Sapido fresco e potente. Amarene, fiori secchi e polvere pirica. Gustoso, pulito e profumato. Elegante nonostante il vulcano. Alla fine sarà il mio preferito.

Un sbuffo e siamo catapultati in Toscana, alle pendici del Monte Amiata, zona Montecucco tanto per intenderci. Il terreno porta con se tutta la mineralità del cuore del vulcano e il clima da queste parti ha grossi sbalzi termici che regalano al vino freschezza. Castello di Potentino, Toscana IGT “Sacromonte” 2011. Come spesso da queste parti un nome che riprende le leggende degli Etruschi e il vulcano che diventa il “monte sacro”. Il Sangiovese lo conosciamo per tradizione e cultura. Qui diventa elegante, fresco ma non tagliente. Fruttato e balsamico, all’apice della sua bellezza, maturo, etereo, in buona armonia generale.

Sicilia arriviamo !! Un giro di servizio dei sommelier e eccoci sull’Etna, non alle pendici, un po’ più su tra 700 e 800 mt slm. Girolamo Russo, Etna “San Lorenzo” 2008. Un cru biologica che nasce direttamente sulle colate laviche su terreni porosi che poco lasciano alla vigna costretta a scavare in profondità, a piede franco, per trovare l’acqua. E nel suo percorso si nutre dell’anima del vulcano. Fiori secchi, marasche, erbe aromatiche e balsamiche, l’odore del sottobosco e dei suoi funghetti appena nati. Una trama tannica importante ma fittissima e tanta freschezza e sapidità.

Siamo sempre al sud, terra di vulcani, e non poteva certo mancare un giro all’estremo nord della Basilicata dove il monte Vulture va bella mostra di se senza nascondere affatto il suo evidente volto vulcanico. Siamo in una piccola cultura biologica, niente lieviti selezionati, nessuna chiarifica, nessuna stabilizzazione. Pensa a tutto il vulcano e l’uomo che vive sui suoi terreni. Musto Carmelitano Aglianico del Vulture “Serra del Prete” 2011. L’aglianico è a ragione il Barolo del Sud. Magari non sempre per eleganza, ma sicuramente per capacità di invecchiamento, per forza e carattere. Prevale il frutto, la mentuccia, la liquirizia e la china, Fresco e sapido con ancora un grande tannino verde che si lascia perdonare solo perché molto fine. Mi sa che dovremmo aspettare ancora con pazienza qualche anno perché riesca a integrarsi. Il vulcano qui non sbuffa, è morto o fa finta di dormire, ma la fertilità minerale che ha lasciato permette di addomesticare in parte il frutto importante di questa uva.

Non è ancora finita ma non siamo stanchi

Vino a sorpresa, davvero una sorpresa. Purtroppo il mio bicchiere non era pulitissimo e può capitare. Cuoio, tabacco, terra bagnata, la volpe….ma Martin arriva in sostegno col suo bicchiere (potenza dei relatori). Impossibile da identificare se non per un Sardo e forse nemmeno per lui. Uva Bovale 100%, DOC Campidano di Terralba, Cantina del Bovale, vendemmia 2008. E che diavolo ci fa un vulcano in Sardegna terra di graniti? Adesso niente, è spento e dorme, ma il Monte Arci in questa zona ha disseminato ossidiana ovunque nell’epoca in cui eruttava e questi terreni portano ancora con se quella natura. La trama tannica è importante ma i Tonneau sanno come lavorarla. Un vino forte e virile, corposo.



Proseguiremo dopo il 29 con una carrellata sui bianchi per vedere come influisce la natura vulcanica dei territori su vini privi di tannini. Stay tuned

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i vini del Sud Africa